Sauro Donati Astronomy Page
Il Fenomeno delle Stelle Novae - (La Nova Delphini 2013) Premessa Gli astronomi cercano di svelare i segreti dell'universo analizzando l'unica informazione che perviene da esso: la radiazione elettromagnetica. La luce visibile dall'occhio umano ne è solo una parte, una piccola finestra, chiamata "spettro visibile", che comprende un range limitato di radiazioni esteso dal limite con l'ultravioletto, a quello con l'infrarosso. In termini numerici significa che noi percepiamo radiazioni comprese tra 3800 e 7600 Angstron che, rispetto alla quantità di radiazione presente l'universo, è davvero poca cosa. Questo è sufficiente per apprezzare la maggior parte dei fenomeni terrestri, mentre si rivela una forte limitazione per lo studio dei fenomeni del Cosmo. L’aumento delle conoscenze scientifiche ci permette di risolvere il problema, consentendoci di realizzare strumenti in grado di registrare sia radiazioni a lunghezza d'onda minore (quasi l'intero Ultravioletto, raggi X e raggi Gamma) sia quelle a lunghezza d'onda maggiore (parte dell'Infrarosso e onde Radio). Quando abbiamo scoperto che la nostra atmosfera impedisce a gran parte della radiazione elettromagnetica di arrivare fino al suolo, ci siamo organizzati mandando in orbita satelliti adatti allo scopo. In questo modo le conoscenze della fisica dello Spazio, hanno fatto un enorme balzo in avanti. Fortunatamente la nostra atmosfera è trasparente ad alcune emissioni che, pur non essendo percepibili dall'occhio umano, possono essere rivelate da appositi strumenti. Si tratta di una piccola parte dell'ultravioletto vicino, i raggi UV-A, di buona parte dell'infrarosso vicino e della cosiddetta finestra radio. L'intera gamma delle radiazioni ultraviolette dannose come i raggi UV-B (una piccola porzione di UV-B riesce comunque a passare) e gli UV-C è, invece, assorbita dall'Ozono presente nell'atmosfera terrestre. Quindi, a condizione di possedere gli strumenti adatti, possiamo indagare a fondo la luce proveniente dai corpi celesti. Uno degli strumenti più efficaci, da applicare ai telescopi, è senz'altro lo Spettrografo (o Spettroscopio), uno strumento in grado di separare la luce, che alla nostra retina appare bianca, nelle sue varie componenti colorate, chiamate Spettri. Applicando poi opportuni accorgimenti, come per esempio "fenditure" a un certo punto del percorso luminoso, siamo in grado di rivelare "righe" su di esso, esattamente alle lunghezze d'onda corrispondenti ai vari elementi chimici che compongono l'oggetto emittente. Siamo perciò in grado di effettuare analisi chimiche qualitative e quantitative dei corpi celesti. La spettroscopia di oggetti astronomici può essere compresa solo tenendo conto di queste tre condizioni fondamentali: Un corpo solido o liquido incandescente emette uno spettro luminoso continuo; Un corpo solido o liquido circondato da gas emette uno spettro luminoso continuo attraversato da righe scure, dette di assorbimento; Un gas incandescente emette uno spettro scuro con evidenziate righe luminose, dette di emissione; Questo tipo di indagine astronomica, unita a quella "Fotometrica", che riguarda lo studio delle intensità luminose alle varie lunghezze d'onda, rappresenta uno strumento molto potente a disposizione degli astronomi. E' chiaro che per essere davvero efficace, sia la Spettroscopia che la Fotometria, dovrebbero indagare tutte le lunghezze d'onda possibili, anche quelle non visibili da Terra, come l'ultravioletto. In una parola la “luminosità bolometrica", cioè la quantità di radiazione che un astro emette su tutto lo spettro elettromagnetico. Formazione Stellare Le stelle si formano per contrazione gravitazionale di nubi molecolari e, contrariamente a quanto si tenda a pensare, non sono corpi solitari. La presenza di un'unica stella nel nostro sistema solare non deve trarre in inganno. Le stelle hanno la tendenza a formarsi in gruppi o in strutture chiamati ammassi. Possono esistere ammassi formati da centinaia e migliaia di astri, ma molto più comuni, sono i sistemi composti da poche unità e quando all’interno di un sistema almeno binario si verificano le condizioni che descriveremo, possiamo assistere allo spettacolare fenomeno delle novae. Per meglio chiarire il concetto, è necessario ripercorrere i tragitto della nascita e della morte delle stelle. Quando una nube molecolare, composta essenzialmente da Idrogeno (H) si contrae, le leggi gravitazionali prevedono che si possa frammentare in vari nuclei di condensazione, ognuno dei quali potrà dare origine a una protostella o a un protopianeta. A questo punto è necessario procedere con un riferimento alla massa del nostro Sole, che considereremo per comodità uguale a 1. Tutti i corpi che alla fine della fase di condensazione avranno massa M < 0,01 non riusciranno a raggiungere le temperature necessarie per innescare la fusione dell’Idrogeno in Elio (He), perciò resteranno alla condizione di pianeta. I corpi compresi tra 0,01 < M < 0,08 diventeranno invece nane brune, una strana categoria semi stellare, impossibilitata ad accendere reazioni termonucleari a causa della scarsa massa, la cui luminosità è dovuta solo alla loro lenta contrazione, secondo un meccanismo chiamato Kelvin-Helmholtz. Tutti i corpi che avranno M > 0,08, all’incirca 70 masse gioviane, innescheranno le reazioni per la fusione termonucleare che, entro un tempo considerevolmente lungo e variabile, da 1 milione a 10 miliardi di anni, porterà tutto l’H a trasformarsi in He. Le stelle comprese tra 0.08 < M < 0.4 termineranno la loro esistenza tranquillamente. Quando tutto l’H sarà esaurito, gli strati più esterni di He non potranno più essere sostenuti e precipiteranno verso l’interno, dando origine a una stella di piccole dimensioni in rapida rotazione, composta dalla cosiddetta "materia degenere”: nascerà così una nana bianca di He. In realtà il meccanismo che porta alle nane bianche è comune anche a stelle comprese tra 0.4 < M < 8/9, ma in questo caso, se siamo di fronte a un sistema binario, può accadere qualcosa che attiene alle stelle novae, che tratteremo più avanti. Anche le stelle comprese in questo range, quando avranno quasi terminato il combustibile fornito dall’H, subiranno una contrazione a causa degli strati superiori di He che, come abbiamo detto, precipiterà verso il centro gravitazionale, ma in questo caso l'enorme quantità di massa in caduta obbligherà di nuovo il combustibile residuo ad incendiarsi. L’H rimasto si accenderà repentinamente, producendo nuova energia e la stella, se vorrà mantenersi in equilibrio idrodinamico, dovrà per forza dissipare l’energia in eccesso e sarà costretta ad ampliare le sue dimensioni. Ci sarà perciò un’espansione che, se da un lato provocherà un raffreddamento complessivo, amplierà anche la superficie emittente facendo, quindi alla fine, aumentare la luminosità complessiva. Saremo di fronte a una cosiddetta “gigante rossa”. A questo punto accadranno due cose interessanti. La stella comincerà a perdere massa a causa dell’espulsione degli strati più esterni e contemporaneamente, in caso di sistema binario, la distanza tra le due stelle diminuirà notevolmente a causa della perdita di momento angolare dovuto alla viscosità del gas del sistema. Ricordando che è in questa fase che nascono le cosiddette “nebulose planetarie” procediamo per osservare i successivi sviluppi. Essendo terminato il primo combustibile nucleare, cioè l’H, la stella al suo interno starà bruciando l’He per produrre il Carbonio (C). Se all’esaurimento dell’elio l’astro si troverà con una massa inferiore a circa due volte la massa solare, la sua fine sarà determinata da una condizione simile alla precedente. Il C prodotto precipiterà verso l’interno, ma la massa residua non permetterà una nuova accensione e la stella, dopo una serie di espansioni superficiali (variabili cefeidi) che finiranno per espellere tutto il materiale in direzione radiale, lascerà scoperto un nucleo caldo e denso, quello di una nana bianca, questa volta di Carbonio. Soffermiamoci per un istante sul destino degli astri di grande massa iniziale (Min). Le stelle che originariamente sono comprese tra 8/9 < M < 40 riescono a fondere elementi via via più pesanti fino ad arrivare, alla fine dei vari cicli di contrazione e espansione, alla fusione del Silicio (Si) in Ferro (Fe), elemento non più trasformabile. A questo punto la stella andrà incontro ad una apocalittica esplosione che proietterà nello spazio tutta la materia rimanente e, se la massa finale (Mfin) sarà compresa tra 1,4 e 2,5 Masse Solari (M) si formerà un piccolo ma densissimo residuo in drammatica rotazione, chiamato stella di neutroni. Per le stelle invece ancora più massicce, con Min > 40M e Mfin> 2,5M, l’esplosione finale non lascerà alcun residuo visibile, ma darà luogo a una singolarità, racchiusa entro un orizzonte degli eventi. Nascerà così un “buco nero”. Entrambe queste supernove sono classificate di tipo II. Ma torniamo alla trattazione che più ci interessa. Abbiamo ipotizzato di essere all’interno di un sistema binario; va ricordato che se anche esistessero più stelle nel sistema i prossimi eventi riguarderanno necessariamente le due di massa maggiore, escludendo per il momento sistemi con stelle di massa identica. Come dicevamo, il sistema binario a questo punto è composto da una nana bianca, che potrebbe essere di He, se la massa iniziale Min < 0.4M, oppure di C o di Ne se 0.4M < Min < 8/9M. Alla nostra nana bianca non accadrà nulla, fino a che la seconda stella del sistema non terminerà l’abbruciamento dell’H e comincerà a sua volta a espandersi. Le novae fanno parte delle stelle cosiddette variabili cataclismiche e sono classificate in tre tipi principali: Novae Classiche (CN) caratterizzate da fenomeni esplosivi molto intensi e subitanei, con variazioni di luminosità (Dm) anche di 12 magnitudini; Novae Ricorrenti, (RN) simili alle precedenti ma con rilascio inferiore di energia. Il nome deriva dal fatto che ne sono già stati osservati almeno due outburst; Nove Nane, (DN) oggetti contraddistinti da piccoli aumenti di luminosità, probabilmente non derivante da fenomeni esplosivi, ma idrodinamici. Escludendo le DN, ci soffermeremo sui fenomeni che intervengono per le CN e le RN. Quando la stella secondaria esaurisce il combustibile nucleare è costretta ad espellere parte della sua massa per mantenersi in equilibrio. Tuttavia in un sistema binario dobbiamo tener conto della attrazione gravitazionale esercitato dalla stella compagna. La materia espulsa, infatti, tenderà a cadervi attraverso dinamiche complicate, studiate e chiarite dal fisico francese Eduard Roche. Egli dimostrò che attorno ad ogni stella, in sistemi binari stretti, doveva esistere una sfera ideale, riempita la quale la materia espulsa dall’astro, anziché sfuggire nello spazio, sarebbe stata catturata dalla compagna, attraverso una "porta", chiamata punto lagrangiano n.1. Per il sistema doppio che stiamo trattando, le simulazioni ci informano che oltre a questo meccanismo di accrescimento della stella primaria, che come ricordo è una nana bianca, ne esiste un altro questa volta indipendente dalla distanza: si tratta dell'accrescimento da vento stellare. Considerato però che il processo non pare da solo molto efficace, si ipotizza che per aumentare la massa della nana bianca intervengano entrambi i meccanismi. La nana bianca è un oggetto molto strano. E’ composta dalla cosiddetta materia degenere, un mix di particelle elettroniche super condensate, che costringono un oggetto in rapidissima rotazione ad assumere densità spaventose, anche fino a 106 Kg/cm3, seconde solo alle stelle di neutroni. Questa materia ha la caratteristica di rendere "degenere" ogni altro tipo di materia che vi entri a contatto. Questo spiega il meccanismo di accrescimento delle nane bianche, che sono alimentate dalla stella compagna solo con H. Più complessa è invece la spiegazione del procedimento di innesco dell'esplosione. Il modello più accreditato prevede che la materia proveniente dalla stella compagna si disponga, a causa della forte rotazione, secondo un disco equatoriale di accrescimento. In questo modo avviene il mescolamento degli elementi, che provocherà alla fine l'accensione dello strato superficiale, chiamato shell. Si pensa che l'accensione avvenga per flash, a causa dell'insinuarsi della materia sotto lo strato superficiale della nana bianca. Una volta innescata quella che è una reazione nucleare a tutti gli effetti, la pressione aumenta a dismisura facendo espandere la struttura e causando il rilascio dell'inviluppo esterno della stella. Ma qui si presenta un altro problema! Dalla matematica sappiamo che, affinché ciò avvenga, è necessario che si inneschi un processo particolare, chiamato "decadimento beta", che può verificarsi soltanto in presenza di elementi più pesanti dell'H e dell'He, come il C, l'Azoto (N) e l'Ossigeno (O). Il ciclo, chiamato proprio CNO, è l'unico che può garantire la presenza di elementi pesanti in grado di decadere. Ma dove si trovano questi elementi se il rifornimento alla nana bianca è garantito solo dall'H? la risposta è semplice: devono trovarsi già all'interno della stella! Questa informazione è assai utile, perché ci dice che dal fenomeno "novae" sono escluse stelle di piccola massa, come il Sole, che non essendo in grado di portarsi oltre la fusione dell'He in C, non possono sintetizzare gli elementi più pesanti, necessari come si è visto per il processo descritto. Ancora dalla matematica, ci proviene un'altra informazione molto utile per la comprensione del fenomeno Novae, soprattutto delle RN. Alcuni modelli dimostrano che una esplosione di nova non proietta nello spazio tutto il materiale derivato dalla stella compagna, ma solo una parte seppur considerevole. Il risultato è che la nana bianca continua ad accrescere le proprie dimensioni con il trascorrere del tempo, candidandosi decisamente a diventare progenitrice di una supernova chiamata di tipo 1a. In questi casi il modello prevede che la nana bianca possa aumentare di massa fino a un certo limite, chiamato "limite di Chandrasekhar" dal nome del fisico indiano che la propose, oltre il quale un corpo costituito da materia degenere non può più opporsi al collasso gravitazionale. Perciò, se la stella compagna continuerà ad alimentare la primaria, dopo una serie di fenomeni cataclismici, conosciuti come fenomeno Novae, la stella andrà incontro ad una apocalittica esplosione finale, che proietterà nello spazio tutta la materia presente nel sistema, compresa la stella compagna. In quella zona di spazio non resterà nulla a testimoniare il sistema binario iniziale. Per quanto sopra descritto, si potrebbe ipotizzare che tutte le Novae in realtà siano RN, il loro studio continuo risulta pertanto una pratica da incoraggiare. Cerchiamo ora di comprendere nel dettaglio l'evoluzione del fenomeno Novae. Ricorrendo a una certa semplificazione, per quanto osservato fino ad ora potremmo dire che dal momento dell'esplosione, chiamato TNR (Thermonuclear Runaway) una CN attraversa tre fasi, chiamati fireball, iron curtain e nebular. La fase fireball è quella dell'esplosione iniziale, caratterizzata dallo shell (involucro esterno) ionizzato, che durante la fase di espansione oscura completamente la radiazione proveniente dalla nana bianca. Le temperature sono di circa 108K. La fase iron curtain si innesca quando lo shell, raffreddandosi per l'espansione, tende ad aumentare la trasparenza. E' la fase più complessa, perché a seconda della temperatura a cui si arriva, l'opacità può aumentare di nuovo, a causa di specie chimiche ionizzate, come il Ferro (Fe II) e il Titanio (Ti II). In questa fase lo spettro ultravioletto è attraversato da righe in assorbimento, che corrispondono nello spettro visibile a altrettante righe in emissione. Durante questa fase è auspicabile seguire costantemente l'evoluzione spettroscopica, perché le variazioni spettrali avvengono nel giro di ore La fase nebular, infine, si determina quando il gas in espansione è talmente diluito da renderlo trasparente, così da poter lasciar vedere la fotosfera della nana bianca. Infine una breve ma importante citazione sulle classificazioni delle Stelle Novae. E’ universalmente accettata la classificazione proposta da Cecilia Payne-Gaposchkin nel 1957, che qui ripropongo:
Lo schema è basato sulla velocità di decadimento della luminosità espresso in magnitudini, come indica il numeretto in pedice alla lettera “t” (di solito si considera 2 o 3).
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Spettroscopia della Nova Delphini 2013
Il 14 Agosto 2013 l’astronomo amatoriale giapponese Koichi Itagaki scopriva una delle Novae più luminose degli ultimi anni, nella costellazione del Delfino. La notte tra il 16 e il 17 Agosto la stella raggiunse la magnitudine visuale di 4,25 (stime AAVSO) per poi cominciare rapidamente a declinare di luminosità. Il declino si interruppe parzialmente fino al giorno 20 Agosto, per poi riprendere ma questa volta più lentamente, fino a raggiungere la mag. 6,25 dopo circa 11 giorni. Quindi, secondo lo schema precedente, la nova può essere classificata di tipo Fast, con t2 = 12 ±1. (S. Donati)
Utilizzando un piccolo strumento e un filtro a reticolo di diffrazione con 100 linee/mm come spettroscopio a bassa risoluzione, mi è stato possibile indagare la luce proveniente dalla nova. Purtroppo non sono riuscito a riprendere spettri prima del 26 Agosto, di conseguenza non ho potuto registrare la fase di fireball. Secondo i dati osservativi l’uscita da questa fase è avvenuta intorno al 22 Agosto. Lo spettro riportato sotto (Fig. 1) è stato ripreso, quindi, in piena fase Iron Curtain. Evidentemente siamo di fronte a una Nova tipo CO. Trattando le immagini con il programma VSpec, siamo in grado di estrarre i grafici e tentare la lettura, non facilissima, dei dati osservativi. A distanza di circa 12 giorni dopo il massimo abbiamo una netta prevalenza delle righe cosiddette della serie di Balmer (Hβ e Hα) ma, oltre alla presenza del Fe II, tra 4924 e 5300 Å, sono ormai apparse le righe dell’OI.
Fig 1
Non mi è stato possibile riprendere la nova fino al 9 Settembre, (Fig. 2) quando però ho potuto utilizzare un’altra camera da ripresa. Si trattava di una DSLR Nikon D300, con poca risposta nel rosso lontano, tuttavia sufficiente a registrare la riga Hα a 6562.8 Å. Lo strumento utilizzato rimaneva lo stesso: un rifrattore apocromatico D =70 mm e f = 420 mm. Interessante lo spettro visibile sotto che riporta, oltre le righe di H della serie di Balmer, ben evidenti anche righe del Fe II. Si percepiscono due righe dell'Azoto NII e [NIII], quest’ultimo sotto forma di riga proibita come indicato dalle parentesi quadre. Si tratta di una riga tipica della fase nebulare, ma visibile anche in fase di Iron Curtain, a significare forse un inizio di transizione.
Fig. 2
Trattandosi di spettri a bassa risoluzione non è possibile distinguere tutte le righe che, specialmente nella zona centrale, sono sovrapposte a altri elementi non percepibili, come probabilmente l’He I e l’He II. Sovrapponendo tre spettri in altrettante sere nell’arco di 16 giorni (Fig. 3) possiamo valutare l’evoluzione delle righe. La tendenza alla diminuzione del Fe II è ora indice di una chiara transizione di fase, dalla Iron Curtain alla Nebular.
Fig. 3
Nel mese di Ottobre sono riuscito a riprendere tre spettri, rispettivamente il 1/10, il 9/10 e il 31/10 (figg. 4,5 e 6) che hanno confermato, specialmente l’ultimo del 31 Ottobre, l’ingresso ormai definitivo della nova nella fase nebulare. Gli indizi ormai probatori sono rappresentati dalla diminuzione delle intensità delle righe di Balmer (Hβ e Hα) e l’aumento progressivo dell’[O III] che, nel grafico corrispondente allo spettro del 31 Ottobre, sarà la riga più forte dello spettro, dopo l’Hα. Un’altra prova che lo shell è quasi del tutto trasparente è rappresentato dalla presenza di [N III] e He II, rispettivamente a 4630 e 4686 Å, che dovrebbero essere indicativi della fotosfera della nana bianca. Dalla letteratura sappiamo che quando la riga dell’O I (1300 Å) scompare, lo shell è completamente trasparente. Ecco l’importanza di seguire l’evoluzione della Nova Delphini 2013 con spettri nell’ultravioletto, di cui però, al tempo delle immagini, non ho trovato traccia sul web.
Continuiamo nella fase nebulare con il grafico in Fig 7, ottenuto con uno spettro del giorno 6 Novembre e quello di Fig. 8 ottenuto il giorno 16 Novembre Gli spettri, seppur non bilanciati per la risposta spettrale del sensore, dimostrano la diminuzione costante del flusso luminoso e l’aumento deciso delle righe [O III] a 4959 e 5007 Å. Questi grafici mostrano uno dei limiti del sistema utilizzato: In assenza di fenditura la striscia spettrografica si sovrappone a stelle di fondo, provocando “picchi” inesistenti, che ho chiamato (STAR). Il motivo è che la Nova si sta indebolendo, (stimata Mv 10.8 il giorno 6 e Mv 11.3 il giorno 16), di conseguenza devo aumentare i tempi di posa, facendo risaltare stelle sempre di più deboli che finiscono per occupare lo spazio destinato alla striscia spettrale. Ho preferito, tuttavia, evidenziarli anziché operare con strumenti di fotoritocco. Questi ultimi due grafici ottenuti con VSpec, sono il risultato della somma di 10 immagini di 3 minuti ciascuna, ottenuti con il CCD Sbig St7 al fuoco diretto di un Maksutov da 4” a f/7.5. Purtroppo il sito cittadino della ripresa non sarebbe molto adatto alla spettroscopia, ma con la bassa dispersione, è possibile ancora ottenere risultati.
Il grafico in fig. 9 è stato ottenuto sommando 15 immagini di 3 minuti ciascuna, in condizioni di seeing non buone e presenza di veli. Nonostante tutto si nota chiaramente la stessa situazione del giorno 16. L’Hα resta la riga predominante seguita dall’O III (4659/5007 Å) e l’N III a 5755 Å. La sera successiva è stata ripresa con le stesse modalità il grafico di Fig. 10. La Nova Delphini 2013 è in indagata con strumenti sensibili ai raggi X, grazie al satellite CHANDRA, che ha rilevato una certa attività a lunghezze d’onda comprese tra 22 e 24 Å. (Fonti ATel)
A 116 giorni dal massimoLa Nova pare attestarsi intorno alla m.v. 11,2 e per ottenere il grafico è stato sufficiente sommare 6 immagini da 30 sec. Interessante notare come dal 1.10.2013 in avanti, la riga dell’Hβ sia progressivamente diminuita di intensità, mentre quella proibita dell’OIII sia, al contrario, aumentata divenendo, già dal giorno 16.11.2013, la più intensa dello spettro, dopo l’Hα.
Dall’ATel n. 5624 del 4 12 2013, (Shore e al.) apprendiamo che l’allargamento della base dell’H Alfa è dovuto alla miscelazione con il doppietto [N II], presente alla lunghezze d’onda di 6548 e 6583 Å. Visibile, seppur confuso in un unico picco, appare invece il segnale del doppietto dell’ [O I] a 6300/6364 Å. Infine, non ancora documentato alla data della ripresa, emerge un segnale a 7113 Å, corrispondente con tutta probabilità alla emissione del [C III]
Bibliografia
- The Astronomer’s Telegram nn. 5282, 5288, 5291, 5295, 5297, 5300, 5312, 5378, 5409, 5493, 5505, 5533, 5546. - V496 Scuti: An Fe II nova with dust shell accompanied by CO emission AA.VV. [Astro-ph.SR] - The ApJ 452, The calibration of novae as distance indicators - Della Valle & Livio - UniPisa, Studio della luminosità bolometrica per le novae classiche nella LMC - Dal Pozzo & Shore - The ApJ 376, The evolution and classification of postoutburst novae spectra - AA.VV.
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